giovedì 26 maggio 2011

VIAGGI&WEEKEND - IL MONTE ORTIGARA



Il monte Ortigara deve la sua triste ma gloriosa fama alla terribile e sanguinosa battaglia che vi si combattè dal 10 al 29 giugno del 1917 nel tentativo, da parte italiana, di riconquistare la dorsale montuosa che va dalla val d'Assa attraverso cima Portule, cima Dodici, monte Forno, monte Chiesa, cima Undici, monte Campigoletti, monte Ortigara fino al passo dell'Agnella a picco sulla Valsugana.
L'esercito austro-ungarico si era attestato su queste formidabili posizioni naturali al termine della famosa Strafexpedition scatenata nel maggio del 1916, che aveva portato gli imperiali fino al Pian della Marcesina e alle Melette, da dove però avevano iniziato a ripiegare a seguito della controffensiva italiana, sviluppatasi fra giugno e luglio 1916.
Questo ambizioso piano, denominato Azione K, avrebbe dovuto iniziare secondo i piani dell'alto comando italiano nel mese di novembre 1916, ma problemi vari e sopratutto le terribili condizioni climatiche dell'inverno 1916-1917 causarono il suo rinvio al giugno 1917.
Durante quell'inverno caddero sull'Altopiano fino a otto metri di neve, con temperature fino a 30 gradi sottozero e si ebbero decine di morti per slavine e congelamenti.
La preparazione dell'Azione K fu estremamente complessa per l'enorme e anzi eccessivo numero di truppe mobilitate e questa fu senz'altro una delle ragioni che portarono al suo insuccesso.
Le altre ragioni sono state evidenziate dagli storici e si possono leggere in numerosi libri dedicati alla battaglia dell'Ortigara; il mio preferito è "Ortigara 1917, il sacrificio della Sesta Armata" di Gianni Pieropan, nel quale viene fatta un'analisi veramente approfondita e veritiera dell'andamento della battaglia, basandosi anche sulle testimonianze dei sopravvissuti.
Le forze in campo per gli italiani erano la Sesta Armata, che comprendeva circa 300.000 uomini con 1.600 pezzi di artiglieria fra cannoni, obici, mortai e bombarde; occorre precisare che non tutti questi uomini furono effettivamente utilizzati.


Gli austro-ungarici schieravano circa 100.000 uomini con 400 pezzi di artiglieria senza contare i cannoni della Valsugana che potevano tirare sull'altopiano; in effetti nel corso della battaglia altre truppe vennero fatte affluire dagli austriaci per sostituire i caduti e per riprendere l'Ortigara, conquistata dagli alpini.
Il rapporto di forze era quindi di tre a uno a favore degli italiani e se si fosse trattato di una battaglia in campo aperto come quelle delle guerre napoleoniche o delle guerre di indipendenza, non vi è alcun dubbio che sarebbe finita con la vittoria italiana.
Ma qui siamo su montagne selvagge e brulle, a quote intorno ai duemila metri e gli austriaci hanno avuto un anno di tempo per scavare trincee e caverne, per stendere reticolati, per preparare postazioni in caverna di cannoni e mitragliatrici che prendono d'infilata i passi obbligati per cui devono per forza passare gli alpini, i fanti, i bersaglieri per andare all'attacco dell'Ortigara, dello Zebio, del Chiesa, del Forno e del Campigoletti.
Il vallone dell'Agnellizza, detto anche il vallone della morte, doveva essere attraversato di corsa dai nostri soldati che scendevano dal Campanaro e dal Pozzo della Scala su cima Caldiera, dove era ammassato il grosso delle truppe italiane, ed era sotto il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici austriache in caverna sull'Ortigara.
La descrizione che ne dà Paolo Monelli nel suo libro "Le scarpe al sole" è raccapricciante.
Una singola mitragliatrice servita da due uomini poteva falciare centinaia di soldati in pochi minuti e questo è quello che purtroppo avvenne.
L'alto comando pensava di potere usare in alta montagna le stesse tattiche delle battaglie di massa, come quelle dell'Isonzo e del Carso e del fronte occidentale in Francia a Verdun e sulla Somme.
Questo grossolano errore venne pagato a caro prezzo dai nostri valorosi soldati e specialmente dalle truppe alpine che furono quelle che diedero il più generoso contributo di sangue; non per niente l'Ortigara è chiamata il Calvario degli Alpini.
Su un totale di circa 28.000 perdite fra morti, feriti e dispersi, le perdite della 52a Divisione Alpina ammontarono a circa due terzi.
Le perdite degli austro-ungarici furono di soli, si fa per dire, 8.800 uomini circa e quindi un terzo delle perdite italiane, casualmente lo stesso rapporto delle forze in campo. Ma il vero motivo delle minori perdite è ovviamente dovuto al fatto che gli imperiali erano protetti nelle trincee e nelle caverne, mentre gli italiani furono obbligati ad andare all'attacco allo scoperto sotto il fuoco nemico.
L'intero piano di battaglia era molto complesso e prevedeva almeno quattro colonne di attacco che andavano dalla val d'Assa fino al passo dell'Agnella.
La possibiltà di successo finale dipendeva dal contemporaneo successo dei diversi attacchi, per potere difendere le posizioni conquistate, dai prevedibili contrattacchi nemici, ma questo non avvenne per tutta una serie di circostanze che possono verificarsi nel corso di una battaglia.
Qui ci occuperemo della colonna di attacco del Generale Di Giorgio che doveva attaccare l'Ortigara.
Come sempre l'attacco inizia con il fuoco delle artiglierie che devono battere tutte le posizioni nemiche, cercando di distruggere i reticolati e i cavalli di frisia per aprire dei passaggi alle truppe attaccanti.
Purtroppo, anche a causa della avversa situazione climatica che ostacola l'osservazione, i risultati non sono quelli sperati e molti reticolati rimangono intatti.
Nondimeno, dopo qualche ora i battaglioni alpini Bassano, Sette Comuni, monte Baldo e Verona sferrano l'attacco scendendo nel vallone dell'Agnellizza e risalendo i ripidi costoni che portano alle quote 2003 e 2105 del monte Ortigara, mentre l'altra colonna del Generale Cornaro inizia l'attacco al monte Chiesa e al Campigoletti.
In breve, nella stessa giornata del 10 giugno, la quota 2003 viene conquistata dal Bassano e la quota 2101 dal monte Baldo, mentre la quota 2105 verrà conquistata il giorno successivo, il tutto al prezzo di elevate perdite di vite umane.
E qui inizia la parte più assurda della battaglia dell'Ortigara; infatti gli attacchi delle altre colonne sono falliti, pur in mezzo a mille episodi di eroismo e a incidenti fatali, come il fuoco corto della nostra artiglieria che colpisce la Brigata Sassari nella zona del monte Zebio, causando centinaia di morti, come ricorda anche Emilio Lussu nel suo "Un anno sull'Altopiano".
A questo punto i nostri battaglioni alpini sono abbarbicati sull'immenso acrocoro che è la cima dell'Ortigara dove, ben presto, si rovescia il fuoco delle artiglierie austro-ungariche provenienti dal Campigoletti, dal Chiesa, dal Forno, che sono rimasti in mano nemica e dalla Valsugana.
La battaglia è persa perché non è possibile rimanere lì, quasi allo scoperto, sotto il fuoco dei cannoni nemici, e la cosa più logica da fare è ordinare la ritirata, ma l'Alto Comando è di parere opposto e continua a mandare nuove truppe a sostituire i caduti.
Nel corso di questa battaglia che durò tre settimane vi furono ovviamente decine di attacchi e contrattacchi, nel corso dei quali furono usati da parte austriaca anche proiettili a gas e lanciafiamme.
La battaglia terminò il 29 giugno con la ritirata delle nostre truppe sulle posizioni di partenza.
Anche se si concluse con una sconfitta, la battaglia dell'Ortigara rimarrà per sempre un simbolo luminoso del valore e dello spirito di sacrificio dei nostri soldati, senza dimenticare anche il valore dei nostri nemici di allora.

Fonte:www.fortinorditalia.altervista.org

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